Sono una psicologa – e credo che ci siano state dette bugie devastanti sulla salute mentale

di Sanah Ahsan
(The Guardian - 06/09/2022)


La comprensione da parte della società dei problemi di salute mentale individua il problema all'interno della persona e ignora la politica del suo disagio.


Ci dicono che stiamo attraversando una crisi della salute mentale. I servizi di salute mentale non riescono a far fronte all'esplosione della domanda di questi ultimi due anni: 1.6 milioni di persone sono in lista d'attesa, mentre 8 milioni di persone hanno bisogno di aiuto ma non riescono nemmeno ad accedere a queste liste. Anche i bambini si presentano al Pronto Soccorso disperati, desiderosi di morire.
Ma esiste un altro modo di vedere questa crisi, un modo che non la collochi saldamente nel regno del sistema medico. Non ha quindi senso che così tanti di noi stiano soffrendo? Certamente ha senso: viviamo in un mondo traumatizzante e incerto. Il clima sta crollando, stiamo cercando di stare al passo con l'aumento del costo della vita, siamo ancora appesantiti dal dolore, dal contagio e dall'isolamento della pandemia, mentre le rivelazioni sull'uccisione di donne da parte della polizia e sulla perquisizione dei bambini infrangono la nostra fiducia in coloro che dovrebbero proteggerci.

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Come psicologa clinica che ha lavorato per un decennio nel SSN, ho visto in prima persona come stiamo deludendo le persone individuando i loro problemi all'interno di loro stessi, come una sorta di disturbo mentale o problema psicologico, e quindi depoliticizzando il loro disagio.
Sei sessioni di Terapia Cognitivo-Comportamentale, progettate per individuare stili di pensiero "non utili", saranno davvero efficaci per qualcuno che non sa come dar da mangiare alla propria famiglia per un'altra settimana? Gli antidepressivi non elimineranno l'implacabile trauma razziale a cui un uomo di colore sta sopravvivendo in un posto di lavoro ostile, e marchiare le persone che stanno subendo violenze sessuali con un disturbo psichiatrico (in un mondo in cui due donne alla settimana vengono uccise nella propria casa) non fa niente per tenerle al sicuro. Non sorprende che la Mindfullness non stia aiutando i bambini che stanno affrontando la povertà, la pressione dei coetanei e le condizioni scolastiche caratterizzate da esami competitivi, dove il bullismo e i danni dei social media sono diffusi.

Se una pianta stesse appassendo, non le diagnosticheremmo la "sindrome-delle-piante-che appassiscono", ma cambieremmo le sue condizioni. Tuttavia, quando gli esseri umani stanno soffrendo sotto condizioni invivibili, ci viene detto che qualcosa non va in noi e ci si aspetta che continuiamo ad andare avanti. Continuare a lavorare e produrre, senza riconoscere il nostro dolore.

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Nei tentativi di destigmatizzare il disagio mentale, la "malattia mentale" è inquadrata come una "malattia come le altre" - radicata in una chimica cerebrale presumibilmente imperfetta. In realtà, ricerche recenti hanno concluso che la depressione non è causata da uno squilibrio chimico del cervello. Ironicamente, questo suggerisce che abbiamo un cervello debole per tutta la vita e aumenta lo stigma e l'impotenza. La cosa più devastante di questo mito è che il problema e la soluzione siano posizionati all'interno persona, distraendoci dagli ambienti che causano il nostro disagio.

La terapia individuale è brillante per molte persone, e gli antidepressivi possono aiutare alcune persone a reagire. Ma temo che una comprensione puramente medicalizzata e individualizzata della salute mentale sia come mettere dei cerotti su grandi ferite aperte, senza affrontare la fonte della violenza. Ci incoraggiano ad adattarci ai sistemi, proteggendo così lo status quo. È qui che deludiamo maggiormente le persone emarginate: le comprensibili espressioni di dolore dei neri, dovute al vivere in una società strutturalmente razzista sono troppo spesso medicalizzate, etichettate come pericolose e accolte con violenza con il pretesto di "cura". I neri hanno maggiori probabilità di essere sottoposti a taser, sezionati, confinati e sovra-medicati di chiunque altro oggi nei nostri servizi di salute mentale.

Il Regno Unito potrebbe imparare molto dalla psicologia della liberazione. Fondata negli anni '80 dall'attivista e psicologo salvadoregno Ignacio Martín Baró, sostiene che non possiamo isolare i "problemi di salute mentale" dalle nostre strutture sociali più ampie. La sofferenza emerge nelle esperienze delle persone e nelle storie di oppressione. La psicologia della liberazione vede le persone non come pazienti, ma potenziali attori sociali nel progetto di libertà, valorizzando i propri lignaggi, creatività ed esperienza, piuttosto che essere costretti a un'idea di terapia bianca, eurocentrica e individualistica. Questa pscologia sfida direttamente le cause sociali, culturali e politiche del disagio attraverso l'azione sociale collettiva.

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Questo quadro ha perfettamente senso quando lo sentiamo. Significa che gli uomini bianchi ricchi e privilegiati non sperimentano sofferenza? Certo che lo fanno. Stiamo ancora imparando i modi complicati in cui questi temi strutturali influenzano la nostra vita quotidiana. Ad esempio, come le pressioni dell'individualismo e del capitalismo possano portare all'isolamento e all'abuso di sostanze, o come la violenza coloniale nei confronti delle famiglie di immigrati si manifesti nelle case e sui corpi.
Sia chiaro, non sto dicendo che le persone con disagio dovrebbero essere là fuori a scioperare. Il dolore può essere debilitante. Ma quelli di noi che supportano le persone in difficoltà, come gli operatori della salute mentale, hanno un ruolo chiave nella trasformazione sociale. L'azione sociale è la medicina che allevia il disagio personale e collettivo delle persone.

Invece di cambiare l'“assetto mentale” in terapia, abbiamo bisogno di modificare le gerarchie basate sulla razza e sulle classi sociali, il sistema abitativo e quello economico. Il reddito di base universale ha benefici psicologici e studi recenti mostrano quanto migliori le "crisi di ansia e di depressione". Come psicologa clinica, parte del mio lavoro più potente non è stato nella stanza della terapia, ma nel sostenere con successo un alloggio sicuro, o lavorare nella comunità con facilitatori queer, neri e marroni in organizzazioni come Beyond Equality, per prevenire la violenza di genere.

La rete “Psychologists for Social Change” ci mostra un'immaginazione pratica di questo lavoro. Abbiamo anche bisogno di un cambiamento sociale preventivo, come investire nei giovani e in servizi guidati dalla comunità come “Healing Justice London” e “4front”. Essi lavorano per modificare il trauma nelle comunità emarginate attraverso la costruzione di connessione sociale, azione sociale e creatività, verso un futuro libero dalla violenza.

Tutto questo non significa ignorare il valore della terapia individuale (questo fa parte del mio lavoro, dopotutto). Ma la terapia deve essere un luogo in cui viene esaminata l'oppressione, in cui l'obiettivo non è semplicemente ridurre il disagio, ma leggere il disagio come risposta di sopravvivenza a un mondo oppressivo. E infine, mi piacerebbe vedere un mondo in cui abbiamo bisogno di meno terapeuti. Una cultura che rivendica e abbraccia la follia dell'altro. Dove corriamo il rischio coraggioso di rivolgerci l'uno all'altro nel nostro comprensibile e disordinato dolore.

Una trasformazione strutturale significativa non avverrà dall'oggi al domani, anche se la pandemia ci ha insegnato che i grandi cambiamenti possono avvenire abbastanza rapidamente. Ma il cambiamento non avverrà senza di noi: la nostra angoscia potrebbe anche essere un segno di salute, un indicatore significativo del fatto che possiamo resistere collettivamente alle strutture che stanno danneggiando così tanti di noi.

Per ritornare all'analogia della pianta, dobbiamo guardare alle nostre condizioni. L'acqua potrebbe essere un reddito di base universale, il sole degli alloggi sicuri a prezzi convenienti e un facile accesso alla natura e alla creatività. Il cibo potrebbe consistere in relazioni d'affetto, comunità o servizi di supporto sociale. La terapia più efficace consisterebbe nel trasformare gli aspetti oppressivi della società che causano il nostro dolore. Abbiamo tutti bisogno di prendere qualsiasi supporto disponibile ad aiutarci a sopravvivere un altro giorno. La vita è dura. Ma se potessimo trasformare il suolo, accedere alla luce solare, nutrire le nostre radici interconnesse e avere spazio affinchè le nostre foglie si dispieghino, la vita non sarebbe un po' più vivibile?


La Dott.ssa Sanah Ahsan è una psicologa clinica, poetessa, scrittrice ed educatrice

Questo articolo è comparso sul The Guardian il 06/09/22 ed è stato tradotto da me.

Il link all'originale: https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/sep/06/psychologist-devastating-lies-mental-health-pr...